Nel mio post precedente sottolineavo come uno degli intenti del mio blog sia
arrivare prima o poi a un accordo su come usare l’espressione “consulenza filosofica” senza che a ogni pie’ sospinto se ne diano “definizioni” e “FAQ” che, per esistere, abbiano la necessità di essere distorte e/o offensive nei confronti del lavoro altrui.
La FAQ 3 pubblicata da Nava e Bisollo sul blog di Pragma è un buon esempio di ciò che ritengo debba essere evitato. Vediamo perché.
Vi si legge che “nel mondo”
Non esiste differenza tra “counseling filosofico” e “consulenza filosofica”.
Messa così, la cosa è semplicemente surreale, perché è ovvio che due espressioni della lingua italiana non vengano distinte “nel mondo”, dove cioé la lingua italiana non si parla e, di solito, nemmeno si comprende.
Ma subito dopo si legge anche che la cosa dipenderebbe dal fatto che “nel mondo”
Piuttosto esistono diverse declinazioni e interpretazioni della Philosophische Praxis, della Philosophy Practice e del Philosophical Counseling.
E anche qui non si capisce bene cosa si voglia intendere, visto che le espressioni riportate sono due in inglese e una in tedesco: in quali luoghi del “mondo” si danno queste declinazioni e interpretazioni e usando quali termini di quelli indicati? In Germania le due espressioni inglesi non vengono usate, nei paesi di lingua inglese non viene usata quella tedesca, in Francia non viene usata né l’una, né l’altra, bensì “consultation philosophique”, mentre in Spagna di espressioni ce ne sono almeno tre, “asesoria filosofica”, “orientacion filosofica” e “consultoria filosofica”.
Visto tuttavia che dal seguito della FAQ si evince che la sua intenzione sia mostrare che anche la distinzione vigente in Italia vada abolita, è forse lecito intendere il senso delle espressioni sopra riportate in questo modo: “nel mondo” le espressioni Philosophical Practice, Philosophische Praxis e Philosophical Counseling sono considerate sinonimi, quindi anche “consulenza filosofica” dovrebbe essere ritenuta un analogo sinonimo espresso in lingua italiana.
Ebbene, se le cose stessero così la FAQ non sarebbe più tale, ma si trasformerebbe in un fake. Per molte e ben circostanziate ragioni.
In primo luogo perché è dal 2004 che, nelle molteplici occasioni che ho avuto di parlare alla platea internazionale, ribadisco la differenza tra ciò che in Italia chiamiamo “consulenza filosofica” e quel che nel mondo anglosassone viene chiamato “philosophical counseling”. E non l’ho fatto solo oralmente, ma anche per iscritto, ad esempio in un paio di articoli usciti nel 2006 in volumi collettanei curati da José Barrientos Rastrojo e contenenti contributi di gran parte dei principali esponenti del movimento internazionale. Né l’ho fatto da solo, visto che la cosa è stata espressa da altri colleghi italiani nel volume collettaneo Philosophical Practice in Italy, edito nel 2008 da Di Girolamo e consegnato lo stesso anno a molti professionisti stranieri in occasione della Conferenza Internazionale di Carloforte. Mi pare anche opportuno ricordare che, anche grazie a questo tipo di contributo di cui mi sono fatto latore “nel mondo”, sono membro del comitato scientifico della prossima International Conference che si terrà tra pochi giorni in Messico, su specifica richiesta degli organizzatori e nonostante che non possa essere fisicamente presente alla manifestazione.
Quindi, anche “nel mondo” chi legge, si informa ed è aggiornato sa che la “consulenza filosofica” (che ho sempre tradotto con philosophical consultation) è diversa dal counseling filosofico.
Ma non basta, perché come segnalavo in quest’articolo uscito sulla rivista “Phronesis” nel 2011, “nel mondo” non si intendono come sinonimiche neppure le espressioni riportate nella FAQ in lingue straniere: alcuni importanti esponenti della Philosophische Praxis ritengono che essa non corrisponda alla Philosophical Practice, mentre alla International Conference di Leusden, nel 2010, si è consumata una secca rottura tra il mondo anglosassone e quello tedesco, alla quale ho assistito prendendo con altri italiani le parti del secondo, a cagione del fatto che il primo pretendeva di includere tra il Philosophical Counseling anche forme di “filosofia applicata”, cosa del tutto inaccettabile per chi professi la Philosophische Praxis.
In quell’articolo riporto anche uno stralcio di una comunicazione fattami dall’allora Presidente della tedesca IGPP, Thomas Gutknecht, il quale – dopo una visita alla Società Italiana di Counseling Filosofico SICOF, di cui faceva parte allora proprio Luca Nave – si dichiarava entusiasta della soluzione italiana (distinguere nomi e pratiche) e auspicava un suo allargamento al resto del mondo per superare i conflitti che si erano creati (e che, a quanto mi risulta, non sono stati risolti). Sempre in quell’articolo sottolineavo anche la complessità degli scambi terminologici tra lingue e realtà socioculturali diverse, osservando come “consulenza filosofica” in tedesco (Philosophische Beratung) non venga considerata sinonimo di Philosophische Praxis, essendo in quella realtà assegnata a pratiche di consulenza pastorale ben diverse dal lavoro del filosofo professionista.
Insomma, lungi dall’essere tutto semplice e chiaro come vorrebbero gli estensori della fake FAQ, anche “nel mondo” le cose sono piuttosto ambigue e complicate, al punto che la distinzione tuttora vigente in Italia e che si vorrebbe abbandonare è addirittura all’avanguardia. Ed ha evitato per quindici anni conflitti che adesso invece si riaprono.
Perché per chi, come me e come parecchi altri, svolge da anni (i miei sono ormai venti, ben prima dell’arrivo dei “professionisti di seconda generazione”) e con successo un’attività non d’aiuto, non di cura, non orientata allo sviluppo né al benessere, bensì puramente teoretica, fondandola con migliaia di pagine pubblicate in più lingue e ricevendone riconoscimenti in tutto il mondo, è piuttosto offensivo e lesivo della dignità professionale leggere in una fake FAQ che
Pragma non considera come consulenza filosofica o counseling filosofico in senso professionale l’attività che si configuri esclusivamente o prevalentemente come pura teoresi.
Personalmente, anche alla luce dei riscontri dei miei vent’anni di lavoro e di studio, credo che Pragma non abbia capito niente di quel che faccio e neppure di quel che fanno Achenbach, Polednitscheck e Gutknecht, sono disponibile a spiegarglielo pazientemente, ma ritengo affermazioni di tal fatta solo il prodotto di una sorda arroganza che non giova a nessuno, tantomeno ai soci di quell’associazione.
Come scritto nel mio commento al tuo precedente post: non si capisce come Pragma argomenti l’esclusione della pura teoresi dell’esercizio della consulenza filosofica. Si potrebbero invocare diversi argomenti a favore di queste esclusione, ma non toglierò certo io le castagne dal fuoco agli amici di Pragma suggerendoglieli. Inoltre, come accennato nel mio precedente commento, anche se la consulenza filosofica, supposto di adottare questo termine come traduzione della “philosophische Praxis” di Achenbach, “evolvesse” verso il superamento della propria autocomprensione come pura teoresi, questo non la renderebbe automaticamente identica al counseling. La stessa ricchezza del dibattito sulla consulenza filosofica, la complessità di questa pratica talmente capace di auto-critica da sembrare quasi trapassare in altro da sé, il fatto che la meditazione sulla consulenza filosofica abbia permesso lo sbocciare di quel fiore nel deserto che è stato “Platone 2.0”, uno dei libri più filosoficamente intensi che mai furono scritti, tutto questo rende la consulenza filosofica alcunché di molto più ricco, si direbbe, del counseling filosofico, che non ha alcuna ambizione meta-teorica e si contenta, nella maggior parte dei casi, di ibridare finalità comuni al counseling psicologico con un presunto “approccio” filosofico (come se la filosofia potesse venire “curvata” a soddisfare obiettivi che non le sono propri).