Il filosofo consulente e il suo eterno Sosia: il caso DuFer 1


Nel corso degli ormai oltre venticinque anni che mi occupo di Consulenza Filosofica non sono mai mancati coloro che hanno equivocato questa pratica. Non c’è da sorprendersi, né da prendersela troppo: la filosofia, a cagione della sua inattualità e del suo essere sempre un passo a lato (e non avanti, si badi) dell’“ovvio” e del “senso comune”, è sempre stata equivocata; inoltre, la Consulenza Filosofica, con la sua ferma intenzione di essere «un’alternativa alle psicoterapie e non una psicoterapia alternativa» (Achenbach) e di rilanciare l’importanza del pensiero in una cultura di massa che lo svaluta e trascura a vantaggio del corpo e della sfera emozionale, certo non può sperare di essere immediatamente compresa da tutti.

Nel corso di questo quarto di secolo, purtroppo, sono stati tuttavia frequenti i fraintendimenti anche da parte di persone che avrebbero avuto il dovere, morale e professionale, di informarsi bene prima di parlare: filosofi, psicologi, intellettuali che hanno aggressivamente criticato la pratica e chi la esercitava, accusandoli però di cose inesistenti, che i filosofi consulenti stessi sostenevano non solo di non fare, ma addirittura essere parametri per discriminare chi faceva questa attività da chi, invece, faceva altro. Tale fenomeno era diventato a un certo punto talmente diffuso che con il mio collega e amico Davide Miccione ironizzavamo, ipotizzando la presenza di un presunto “Sosia” delle cui malefatte i filosofi venivano ingiustamente accusati, un po’ come quel Pasquale per conto del quale Totò, in un famoso sketch degli anni Sessanta, si prendeva gli schiaffi ridendo – tanto “io mica mi chiamo Pasquale”.

Diversamente dal buon Totò, però, prendere schiaffi ridendo non mi è mai piaciuto, per cui ho avuto più volte occasione di stigmatizzare gli assurdi “scambi di persona” verificatisi nel corso degli anni. Ma non è stato sufficiente, visto che tale fenomeno non è cessato ed è ancora possibile trovare chi tuona contro i consulenti filosofici accusandoli di cose che non hanno mai avuto intenzione di fare. L’ultimo caso è quello del popfilosofo Rick DuFer, in un video su youtube dell’8 aprile scorso che prende spunto da un articolo di Panorama in cui Umberto Galimberti invita i giovani ad andare dal filosofo invece che in terapia. «C’è una grande confusione tra la figura del filosofo e quella dello psicologo», vi afferma DuFer, e non si può che dargli ragione: lui ha senz’altro molta confusione in proposito (e forse anche su altri temi che riguardano la filosofia), anche se Galimberti, almeno nell’articolo sotto accusa, non sembra averla.

Pur nella sua stringatezza, infatti, l’intervista di Galimberti è chiara: invita i giovani «in crisi» a non fare «terapia», bensì ad andare dal «consulente filosofico», spiegandone così le ragioni:

«Quando tu hai male al corpo vai dal medico, quando c’è il mal di passioni, vai dallo psicanalista. E quando la testa non funziona, dove vai? Dal filosofo».

Tutto chiaro, no? Lo psicologo e lo psicoanalista si occupano di una cosa, il filosofo di un’altra; se ci si vuole dedicare all’una, si va dai primi, se all’altra, dal secondo. Forse si potrebbe chiedere di spiegare meglio cosa significhi che “la testa non funziona”, ma in fondo basta informarsi un po’ sulla consulenza filosofica per scoprire, se già non lo si sa, che si occupa di migliorare il pensiero, di dare fondamenta alle visioni del mondo, di affrontare dilemmi etici, insomma di fare un po’ di chiarezza in quelle situazioni di confusione che si hanno “in testa” quando si va in “crisi”. Niente di patologico, niente che abbia a che fare con il trattamento di affetti, passioni o altre cose di competenza dello psicologo.

Ma allora, cos’è che non va giù a DuFer?

Fondamentalmente due cose: che psicoterapeuta e filosofo siano considerati alternative esclusive e che il filosofo venga visto come un «life coach, colui che dovrebbe guidarti nelle scelte». Il problema è che queste due cose sono da sempre avversate anche dai filosofi consulenti, né dall’articolo incriminato si evince in alcun modo che ciò non valga anche per Galimberti.

Che andare dal filosofo non escluda la possibilità di andare dallo psicologo è infatti già evidente dalle parole dell’articolo: dal filosofo vai se il tuo pensiero è confuso, se non ti funzionano le risposte a importanti domande che la vita ti pone, se la tua visione del mondo non “mappa” il mondo in modo efficace; poiché dallo psicoterapeuta, invece, vai se hai una psicopatologia e dato che le due cose possono essere contemporanee, è possibile che sia utile andare sia dall’uno, sia dall’altro, come accadeva ai miei consultanti del Centro di Salute Mentale della ASL, dove ho lavorato anni fa. Ma se una psicopatologia non c’è, perché mai si dovrebbe fare terapia? Le idee confuse le abbiamo spesso tutti, senza essere malati, e allora, invece di trasformare “un tanto al chilo” la confusione in una patologia, è opportuno andare da un filosofo.

Che un filosofo non sia e non debba essere un life coach, poi, è cosa che i consulenti filosofici ripetono da sempre, cioè da quando nel 1982 Gerd Achenbach inaugurò la Philosophische Praxis: se c’è una cosa su cui tutti sono d’accordo è che non si devono dare consigli o lezioni di vita, risolvere problemi, farsi carico e prendersi cura della persona, fare i guru vantando qualche superiorità. Il filosofo sa di non sapere, quindi non insegna e non da consigli, ma «pone domande in modo diverso, amplia il campo delle domande», è «amplificatore di incertezza», al massimo è «maieutico», perché «la filosofia non è la risoluzione dei tuoi disagi, delle tue incertezze, delle tue fragilità». Ora, queste ultime citazioni virgolettate, che faccio mie, sono però tratte proprio dal video di DuFer, che quindi mostra di essere in perfetto accordo con quel che dicono i filosofi consulenti. Non solo: come io stesso ho fatto più volte in questi venticinque anni, DuFer afferma che mai consiglierebbe la lettura di Nietzsche o Spinoza a un depresso o a un bipolare, e specifica che solo uno psicoterapeuta possiede dei “metodi” per affrontare pragmaticamente i disagi. Siamo dunque abbondantemente d’accordo.

Ma allora, di nuovo, se gran parte delle cose che dice sono condivise dai filosofi consulenti, chi sta criticando DuFer, e perché?

Evidentemente, il Nostro ce l’ha con il Sosia di cui sopra, ovvero con un “uomo di paglia” che non esiste – o che forse esiste, ma solo perché la realtà ci propone purtroppo anche tante persone poco serie che fanno cose scorrette, ma che non è né il consulente filosofico definito da Achenbach, né quello da cui invita ad andare Galimberti. E il perché ce l’abbia con un tale essere fantasmatico è presto detto: perché DuFer di questa materia non s’intende affatto, ne parla per sentito dire, cosicché dice cose inesatte – colpevolmente, visto che proprio lui afferma nel video che la divulgazione vada fatta bene…

Se prima di partire lancia in resta si fosse fatto scrupolo di leggere un po’ di letteratura – per esempio i miei libri, visto che Galimberti in quell’articolo li cita, o Achenbach, che questa cosa l’ha inventata – avrebbe non solo evitato di attaccare un Sosia invece dell’autentico consulente filosofico, ma anche di confondere con nonchalance consulenza filosofica e counseling filosofico, due cose assai diverse tra loro e che in Italia da ben ventidue anni (sic!) sono portate avanti da (almeno) due associazioni diverse, in dialogo critico reciproco. DuFer, invece, nel video ne parla come se i termini fossero sinonimi e le pratiche identiche, al punto che non solo definisce il professionista (seguendo il dettato del counseling) come un “facilitatore esistenziale” (cosa che a me suona perfino offensiva), ma addirittura mi cita come uno di coloro che, sui propri siti, parlerebbero «di counseling filosofico» e affermerebbero che «il counselor, non si sa bene con l’ausilio di quali conoscenze e competenze, può aiutare il singolo, le coppie e i gruppi», definendomi assieme a loro come «un filosofo pentito che non voleva prendere una seconda laurea». Affermazioni che – come capisce bene non solo chi mi conosca, ma anche chi abbia letto almeno qualche pagina delle tante che ho scritto – meriterebbero, se prese sul serio, una querela. Perché non solo io non sono, né mi sono mai dichiarato un counselor, ma affermo incessantemente da anni – assieme alla gran parte dei filosofi consulenti – che il filosofo non aiuta – cosa che, in questo campo, ha a che fare con l’universo emozionale – bensì coopera nella ricerca di chiarezza, di guadagni conoscitivi e di perfezionamenti delle visioni del mondo degli ospiti. In ciò seguendo Achenbach, il quale – nel suo Consulenza filosofica, edito in Italia ben ventuno anni fa, ma che DuFer evidentemente non ha mai sfogliato – scrive che «solo l’idiozia militante sa cosa sia l’aiuto».

È poi anche vero che, a giudicare da quel video, la confusione di DuFer si allarga a macchia d’olio e arriva ad abbracciare anche la filosofia tout court: a sentir lui, il compito del filosofo sarebbe creare «una familiarità con quell’abisso interiore che tutti gli esseri umani sentono di avere», cosa esemplificata da Meister Eckart, Kierkegaard, Nietzsche, Seneca – il che però lascerebbe pensare che Carnap, Quine, Gödel, perfino Vico, Hegel e Kant non siano filosofi, visto che fanno tutt’altro. Non solo, il Nostro afferma che «se trovi un filosofo che ti dice “posso risolverti la vita”, querelalo!», ma definisce “filosofia applicata” ciò che fa la sua Cogito Academy, laddove “applicare la filosofia” significa proprio rendere operativi consigli tratti dalla tradizione filosofica, come del resto facevano quelle scuole ellenistiche che l’Academy prende a modello: lo stoico Epitteto ha perfino scritto un Manuale di precetti da mettere in pratica per vivere bene, fulgido esempio di guru che t’insegna come vivere contro cui DuFer si scaglia, vedendolo negli altri mentre lo porta con sé… E ancora, in conclusione egli afferma che tutti gli uomini, senza eccezione, sono confusi, altrimenti non farebbero filosofia, ma poi invita i giovani confusi a fare terapia invece di filosofia… Più in generale, ogni volta che DuFer parla di filosofia e di filosofi, immancabilmente vengono fuori i libri, la loro scrittura e la loro lettura – cioè la concezione “scolastica” della filosofia, intesa come patrimonio di nozioni – mai il suo esercizio, la sua pratica – il filosofare, quella forma d’agire che è alla base tanto della scrittura dei libri, quanto del dialogo filosofico-consulenziale. Insomma: il popfilosofo sembra avere urgente bisogno di una consulenza filosofica per far chiarezza nel magma dei suoi confusi pensieri!

Ebbene, il mio telefono è pubblico, quindi se DuFer sentisse la necessità di chiarirsi le idee e dare un miglior fondamento alla sua concezione della filosofia, mi chiami pure per un appuntamento. Qui concludo solo invitandolo a stare più attento in futuro quando parla di ciò che non conosce e – soprattutto – a correggere con urgenza, magari scusandosi con gli interessati, le colossali imprecisioni che ha detto nel suo video riguardo alla consulenza filosofica (sul counseling siano sostanzialmente d’accordo), perché i suoi duecentottantottomila followers non meritano di essere indotti in errore: di confusione, in giro, ce n’è già anche troppa senza che lui l’aumenti.


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